Intervista a Luigi Garlando, scrittore e giornalista de La Gazzetta dello Sport, in occasione della nuova edizione dei suoi libri: La vita è una bomba, Mio papà scrive la guerra, ‘O Maé, storia di judo e di camorra (Edizioni Piemme, Il Battello a Vapore).
1) Questi tre libri parlano di temi attuali e difficili. Perché parlare di guerra, mafia, terrorismo in un libro per ragazzi?
Perché tutte le mie storie partono da una convinzione: che non esistano argomenti per grandi e argomenti per piccoli, perché il mondo che abitano i genitori è lo stesso che abitano i figli. Esistono semmai modi diversi per affrontare gli stessi temi, per esempio un linguaggio metaforico che aiuta a semplificare realtà complesse.
2) Quali sono le parole “giuste” per parlare di attualità con i più giovani?
Più che “parole giuste” io parlerei di “storie giuste”. In ogni libro che scrivo e che tratta tematiche di valore etico (guerra, legalità, politica…) cerco sempre di evitare il rischio “grillo parlante”, cioè di apparire su un pulpito a predicare una verità e una condotta da seguire. Cerco piuttosto di calare gli spunti di riflessione in storie di fantasia, possibilmente appassionanti, perché l’emozione dispone all’ascolto e alla scoperta. Più sei coinvolto nelle vicende dei personaggi, più entri in empatia con loro, più sei spinto a cercare di capire il loro mondo e i problemi che affrontano.
3) Spesso, nei tuoi libri che affrontano temi forti, si parla anche di sport. Una passione, un lavoro ma anche un modo per veicolare con “lievità” contenuti importanti?
Se ho fatto dello sport la mia professione (sono giornalista sportivo), non è soltanto perché mi piace assistere alle partite di calcio, è anche perché riconosco allo sport un grande valore educativo. Al di là di esasperazioni (violenza) e degenerazioni (doping) lo sport resta la miglior palestra di legalità a disposizione per un ragazzo, perché educa periodicamente al rispetto dell’avversario, di un regolamento, della fatica, di uno spazio (il campo di gioco), di un tempo (quello della partita). Crescere, allenamento dopo allenamento, nel rispetto delle regole e delle persone significa predisporsi alla legalità anche fuori dal campo. Per questo lo sport è presente spesso nei miei libri. E anche per un’altra ragione: perché è un linguaggio universale che lega le generazioni. Non esiste un ponte altrettanto efficace. Non lo è la musica, per esempio. Tra un padre che parla di Paolo Conte e il figlio che ascolta Fedez la comunicazione è ardua. Davanti a una partita di calcio padre e figlio usano le stesse parole, le stesse immagini, che io uso spesso per quel linguaggio metaforico che semplifica realtà complesse di cui parlavo prima.
4) Come ti documenti sui luoghi, i personaggi o i momenti storici che descrivi?
In vari modi, a seconda del libro e del tema affrontato. Per esempio, per O’ Maé, che racconta la storia di Filippo, cresciuto in una famiglia di camorra e rieducato alla legalità dal maestro di judo Gianni Maddaloni, mi sono mosso su piani diversi. Ho contattato Maddaloni e l’ho raggiunto a Scampia, per intervistarlo e per vederle i luoghi in cui ho ambientato il romanzo, a cominciare dalla palestra di judo di O’ Maé. Ho completato l’approfondimento sulla realtà di Scampia leggendo inchieste giornalistiche nell’archivio del Corriere della Sera e vedendo reportage su You-tube. Ho contattato un maestro di judo che insegna in una palestra vicino a casa mia e mi sono fatto spiegare gli elementi fondamentali della disciplina per poter descrivere un combattimento. Ho letto poi un paio di libri sulla filosofia e sullo spirito del judo. Un buon lavoro di documentazione, approfondito e curioso, vale metà libro.
5) Che cosa consiglieresti a un ragazzo che da grande sogna di fare lo scrittore o il giornalista?
Consiglio prima di tutto di leggere tanto. Non esiste consiglio migliore. Leggere è come fare benzina: riempi il serbatoio di conoscenze, idee e parole che ti serviranno quanto dovrai raccontare il tuo pensiero e le tue emozioni. Più leggi, più vai lontano. E poi vivere con curiosità a occhi aperti e orecchie spalancate, perché ogni briciola di realtà può ispirarti una storia o un personaggio.
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