La capacità di ridere, degli altri e di se stessi, segna una tappa importante: da una fase in cui si comunicano solo i sentimenti fondamentali si passa ad una in cui si scopre l’empatia. Un bambino di tre mesi che sorride quando la mamma gli sorride, sta provando a sintonizzarsi emotivamente con il genitore; ma il suo atteggiamento ha ancora qualcosa di meccanico. A due anni e mezzo, invece, ride di gusto osservando il papà che inciampa: nella sua psiche, si è instaurata la capacità di analizzare una situazione esterna, di distinguere tra ciò che è normale e ciò che è assurdo. Ora il bambino percepisce il senso del ridicolo, si identifica con l’Altro e si rallegra per la consapevolezza di non essere direttamente coinvolto in quel piccolo dramma umoristico.
La risata è una faccenda estremamente seria che mette in moto un insieme di meccanismi cognitivi, affettivi e relazionali raffinati e complessi. Il soggetto in età evolutiva, assai più dell’adulto, coglie e sottolinea gli aspetti buffi e ironici della realtà senza trattenere la propria ilarità davanti a uno scivolone o una parolaccia.
Saranno poi gli adulti, con le loro convenzioni sociali, a far interiorizzare progressivamente, anche al bambino più scalmanato, l’esigenza di soffocare le risate per non mortificare l’involontario protagonista di una scena buffa o, più semplicemente, “perché non si fa”. Col tramonto dell’innocenza ridere diventa un comportamento da regolamentare: un fenomeno di censura che progressivamente diviene auto-censura.
Ridere a scuola può essere un problema: l’alunno che “fa lo spiritoso” è visto come uno che vuole distinguersi a tutti i costi e, così facendo, rischia di attirarsi le antipatie dei compagni. All’interno di una comunità come la scuola è importante saper decodificare ogni comportamento tenendo presenti il momento, il contesto e la personalità di chi lo manifesta. Per comprendere il senso di uno scoppio di risa ci si deve chiedere: da chi o da cosa è suscitato? A chi è rivolto? Qual è l’intenzione più o meno mascherata? Cosa si stanno comunicando, in realtà, i bambini che si scambiano battute umoristiche o che ridono sguaiatamente?
L’insegnante consapevole conosce le funzioni psicologiche dell’umorismo: valvola di sfogo dell’ansia; espressione di rabbia resa più accettabile attraverso la battuta; o desiderio di entrare in rapporto con gli altri. Per questo è importante che l’adulto si chieda quale sia l’autentico stato d’animo del bambino che ride per un nonnulla o che si diverte a prendere in giro un compagno. Sfogo, rabbia o desiderio di contatto? Oppure semplice voglia di affermarsi e di emergere dal gruppo?
L’umorismo, accolto e ben canalizzato, può rivelarsi un’importante risorsa anche in classe. Pensiamo ai benefici di un’atmosfera emotiva serena e rilassata, in cui l’alunno può permettersi una battuta. Dare spazio alla vis comica degli studenti consente di suscitarne la curiosità, di accrescere la motivazione all’apprendimento, e di migliorare il rapporto tra la classe e l’insegnante.
A questo proposito è molto significativo un episodio tratto dal volume Guarir dal ridere di Mario Farnè (Bollati Boringhieri, 1995), che a sua volta cita Joel Goodman, direttore dello Humor Project presso una scuola di New York. “Gli studenti di una classe si misero d’accordo che in un momento ben preciso della lezione avrebbero lasciato cadere un libro dal banco; giunta l’ora stabilita, fecero quanto convenuto. L’insegnante, che stava scrivendo alla lavagna, fu colta alla sprovvista; voltandosi verso gli allievi, poteva scegliere fra tre reazioni: ‘contrattaccare’ punendo i ragazzi, ma questo avrebbe comportato il rischio di inimicarseli e di andare avanti in un’escalation di atti di indisciplina e di punizioni; far finta di niente sperando che tutto finisse lì, ma con il pericolo che, il giorno dopo, gli allievi fossero invogliati a lasciare cadere due libri invece di uno; ricorse invece all’umorismo, unendosi agli studenti: andò alla cattedra, prese un libro e lo lasciò cadere a terra dicendo: ‘Scusate se sono in ritardo’. Tutti scoppiarono in una risata e la lezione poté riprendere; come ulteriore beneficio, i ragazzi si formarono un’idea migliore dell’insegnante: ‘Ehi, è un essere umano; ha il senso dell’umorismo!’
(Illustrazione di Desideria Guicciardini)