“Se questi ragazzi sbagliano è anche colpa nostra”.
Lucia Montanino lo dice con gli occhi fermi e la voce serena, lo dice come se ci avesse pensato tante e tante volte fino a farla diventare una verità scontata. Eppure, è dirompente: ammettere la responsabilità di ciascuno di noi quando la realtà che ci circonda si inceppa. Lucia Di Mauro Montanino è la vedova di Gaetano Montanino, guardia giurata uccisa a piazza del Carmine il 4 agosto 2009.
Ha appena scritto, con la giornalista di “La Repubblica” Cristina Zagaria, un romanzo per ragazzi: Storia di un abbraccio. Una storia vera di criminalità e perdono nel carcere di Nisida, pubblicato da Piemme.
Abbiamo rivolto alcune domande a Lucia Montanino, per farci raccontare la sua storia, proprio a partire dal libro. Ma prima di passare alle domande, un breve accenno al contenuto.
Trama di Storia di un Abbraccio
Nell’agosto 2009 un diciassettenne uccide una guardia giurata, Gaetano Montanino, durante un tentativo di rapina. La moglie Lucia, andando contro tutte le aspettative, ha deciso di perdonare il ragazzo, condannato a ventidue anni di carcere.
Nel lutto di Lucia ha trovato spazio il perdono, fin dal primo incontro con Angelo, suggellato con uno struggente abbraccio. Da quel giorno, Lucia si dedica alla riabilitazione in società di ragazzi come Angelo, aiutandoli a ritrovare la strada per una vita normale fuori dalle sbarre.
L’intervista a Lucia Montanino
Cosa significa perdonare?
L.M.: Non parlo mai di “perdono”. Siamo un Paese cattolico e nella nostra tradizione il perdono da un lato è qualcosa di divino, di sacro, dall’altro è qualcosa di profano: “Ti perdono, non ne parliamo più, è finita qui”. La mia storia è una storia di “riconciliazione”, prima con la vita, poi con me stessa. Poi è arrivato tutto il resto… E soprattutto non è qualcosa di concluso, ci continuo a lavorare tutt’oggi, giorno per giorno, anzi, per la verità anche la notte, quando i pensieri si affollano nella mia testa e diventano enormi.
Lei ha perdonato. No, scusi, lei ha iniziato un percorso di riconciliazione con uno dei ragazzi che partecipò al commando che uccise suo marito. Grazie a questa sua disponibilità e alla formula della giustizia riparativa, lui non è più nell’istituto di pena minorile di Nisida, ma ha avuto una seconda chance come uomo libero. È l’unico caso in Italia. Come è accaduto?
L.M.: Leggete il libro. No, scherzo. Nel libro però, grazie anche alle lunghe chiacchiere con Cristina Zagaria, ho provato a spiegare come sono arrivata quel pomeriggio di marzo a incontrare Angelo e ad abbracciarlo forte, senza più pensare al passato.
E quando lo ha abbracciato…
L.M.: Tremava e piangeva, come me… Era vulnerabile, io ero vulnerabile, e da lì è iniziato un nuovo cammino sia per lui che per me. Non sempre facile, ma ci stiamo impegnando entrambi. Lui è un padre di due splendidi bambini a cui sono molto affezionata. Ogni volta che vacillo, e succede, penso a una giovane famiglia che ha tutto il futuro davanti.
La sua è una storia vera, parla di criminalità, di morte, di seconde chance: non crede che siano temi troppo difficili e impegnativi per un libro per ragazzi?
L.M.: No, il libro tratta temi alti, abbiamo voluto così, ma in modo lieve, sempre con spensieratezza e verità. Io credo che i ragazzi di oggi siano più pronti di noi a confrontarsi con la vita e sono molto felice di un libro scritto appositamente per le scuole e le giovani generazioni, perché io spesso racconto la mia storia nelle associazioni, in carcere, tra gli adulti… ma in questi contesti le mie parole arrivano dopo; invece, parlare ai bambini e ai ragazzi significa arrivare prima, prevenire, seminare bellezza… E oggi, a 58 anni, per me è la sfida più bella. Sono da poco diventata nonnabis e mi piace il pensiero di essere una voce forte per chi si sta affacciando ancora alla vita. È una sfida e un onore, un modo per trasformare il dolore in speranza.