“Come aveva detto qualcuno […] ci volevano forza e coraggio
per ‘vincere senza opprimere a nostra volta e per perdonare senza dimenticare’.”
Carlo Greppi è storico, scrittore e autore di numerosi saggi sul Novecento. Per Rizzoli ha già pubblicato La storia sei tu. 1000 anni in 20 nonni, un viaggio generazionale alla scoperta delle nostre radici.
Nel suo nuovo romanzo racconta la Resistenza dal punto di vista di Giorgio, un ragazzino di nemmeno tredici anni, che si ritrova catapultato nella realtà della guerra.
Subito dopo il breve riassunto della trama trovate l’intervista con l’autore, che ci ha parlato dei temi, della struttura del libro e dei possibili approfondimenti da affrontare in classe.
La trama de I Pirati delle montagne
Durante la Seconda Guerra Mondiale un gruppo di uomini e donne coraggiosi, soprannominati “Pirati delle montagne”, si è rifugiato sulle cime dei monti per combattere i nazisti. Tra di loro c’è anche Giorgio, detto “Il Mozzo”, un ragazzino unitosi alla squadra dopo che un rastrellamento lo ha separato dalla famiglia.
È lui che racconta con le sue parole che cos’è la guerra: il senso di solidarietà tra compagni, la voglia di restare umani nonostante il dolore, ma anche l’impotenza, la perdita e il sospetto che s’insinua perfino tra chi sta dalla stessa parte. Ed è proprio quello che succede a Giorgio, quando una delle operazioni dei Pirati non va come previsto: la convinzione che uno di loro abbia tradito si annida nella sua mente e ci resterà fino all’età adulta, quando, a guerra finita, il passato si ripresenterà alla sua porta.
1) A un lettore attento non sfuggirà di certo la particolarità del titolo che mette insieme due scenari di solito contrapposti, il mare e la montagna. Chi sono, quindi, i Pirati delle Montagne?
Sono partigiani. Ma soprattutto sono dei ventenni: sono ragazzi e ragazze, provenienti da diverse nazioni, che vivono l’avventura più entusiasmante – e impegnativa, e drammatica – che si possa immaginare: la lotta per la libertà. Lo sguardo che ce li racconta è quello di un ragazzino, che come molti di noi è cresciuto con il mito dei pirati, e in qualche modo li vede riflessi tra le montagne della lotta partigiana. In fondo anche loro sono dei fuorilegge, che hanno il sogno di “rifare” il mondo da capo, combattendo come possono contro forze soverchianti e apparentemente invincibili.
2) Tra di loro c’è appunto Giorgio, un ragazzino che ci racconta gli eventi della guerra dal punto di vista di chi non sempre capisce cosa sta succedendo intorno a lui. Come nasce il suo personaggio?
Ho scelto fin da subito di raccontare questa storia un po’ lateralmente, di sbieco, per poterci entrare gradualmente, anche con un po’ di delicatezza, e Giorgio ha preso vita con grande facilità. Naturalmente ci sono due modelli insuperabili che risuonano nella mia memoria da decenni: Pin, che ci guida ne Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, e Janek, il protagonista (con la quasi coetanea Zosia) di Educazione europea di Romain Gary. Forse lo sguardo del ragazzino di ieri aiuta anche quelli e quelle di oggi a prendere familiarità con le ragioni, con le modalità e con il senso profondo di quella lotta. Sebbene Giorgio – detto “Il Mozzo” – abbia solo pochi anni in meno di Walter, Boris, Gordon, Ester e di tutti gli altri, vive una fase della vita decisiva, in ogni tempo e ancor di più ai tempi di quella “guerra alla guerra”. La fase in cui un ragazzino matura, e si fa uomo.
3) I temi del romanzo sono tanti e complessi. Tra questi troviamo l’amore per la libertà, la fiducia in un futuro migliore, l’amicizia e il rispetto per i propri ideali. Secondo te come si potrebbe riflettere su questi temi a scuola oggi?
Credo che nessuno possa saperlo meglio di un docente o di una docente. Sono parallelamente convinto del fatto che la storia sia un bacino inesauribile di storie, per di più vere – documentate, verificabili –, alle quali possiamo ispirarci per affrontare temi come questi. E penso che sia assai prezioso rendersi conto di quanta vita e quante vite ha saputo mettere in gioco quella generazione, ottant’anni fa, per conquistare un futuro di libertà: forse converrebbe partire proprio dal fatto che anche loro erano ragazzi, anche se li vediamo di norma in bianco e nero, con degli ideali magari ancora acerbi, ma capaci di radicarsi in profondità.
4) Giorgio si porta dentro un rancore inguaribile fino all’età adulta e, quando gli si presenta l’occasione di regolare i conti con il passato, fa una scelta ben precisa, perché la guerra gli ha insegnato tanto. Cosa vorresti rimanesse ai ragazzi che leggono questa storia?
Non lo so con esattezza. Rispondo di getto, aggirando il possibile spoiling e mutuando e addolcendo la celebre lettera di Ernesto Guevara ai figli: la capacità di essere radicali, senza mai rinunciare all’umanità.
5) In questo libro la Storia s’intreccia con le storie, quelle dei personaggi, ma anche delle persone, se si pensa alla dedica ai nonni mai conosciuti, Teresa e Giorgio, che danno un nome ai personaggi del libro. Perché, secondo te, è importante trovare sempre nuovi modi di raccontare la Storia e le storie della Resistenza, soprattutto a scuola?
Perché sono trascorsi oltre tre quarti di secolo, e spesso rimaniamo avvinghiati ai grandi classici – e sono insuperabili, come dicevo prima – come Calvino, Fenoglio, Meneghello, Gary, che a loro volta intrecciarono in misura diversa l’esperienza e la realtà – la Storia – con l’invenzione – le storie. Abbiamo, comprensibilmente, un disperato bisogno del loro vocabolario e del loro sguardo, ma parliamo di autori che avevano vissuto quegli anni, e che avevano combattuto personalmente. Si tratta delle storie dei miei nonni, appunto, per la generazione successiva alla mia dei bisnonni, addirittura, e vale solo per i nativi – figli, nipoti e pronipoti di nativi. Bisogna considerare il fatto che, come chi insegna ben sa, un numero crescente di studenti e di studentesse in Italia ha alle spalle altre storie: i genitori o i nonni di milioni di italiani e italiane non sono nati qui. Bisogna ripartire un po’ da capo, dunque, cercando di non dare troppo per scontato, raccontando i tratti universali di questa lotta e allo stesso tempo mostrando i tanti passi fatti dalla ricerca e dagli studi in questi ottant’anni. La storia della Resistenza non è un monolite, ma conoscenza in movimento. E i valori che svela sono quanto di più prezioso esista nella storia del Novecento italiano, per come la vedo io. Anche perché proprio questi studi ci svelano una lotta partigiana molto più plurale di come la immaginavamo, che percorre trasversalmente la società e i confini – simbolici e reali – dell’epoca. Come i pirati che nel Settecento solcavano l’Oceano Atlantico, e che si definivano “gente senza nazione”.
6) Come accennato in precedenza, dietro a questo libro c’è un grande lavoro di ricerca e di studio, che lo rende uno strumento molto utile per integrare quanto già affrontato a scuola. A una/un docente cosa suggeriresti per scegliere il libro come lettura per la classe?
È imbarazzante suggerire il proprio libro come lettura, ma in ogni caso un consiglio lo vorrei dare: parlate ai ragazzi di Resistenza internazionale, uno dei campi di ricerca più entusiasmanti degli ultimi anni e di norma ancora assente dal “canone”. Furono parecchie migliaia, verosimilmente almeno 15-20 mila, i non nativi nella lotta partigiana in Italia, e decine di migliaia di ragazzi dell’epoca combatterono i fascismi non sul suolo del loro paese di provenienza, dall’Etiopia alla Francia, dalla Spagna alla Polonia: pensate che sono 39.353 solo i partigiani combattenti italiani certificati dalla Commissione riconoscimento partigiani italiani all’estero – decine di migliaia combatterono in Francia e in Jugoslavia. Per molti anni questi “partigiani senza nazione” non sono stati visti, raccontati, celebrati – al netto di poche eccezioni. Anche per questo ho voluto inserire una Nota dell’autore piuttosto articolata, alla fine del libro: per dare a chi lo vorrà spunti di lavoro, piste di ricerca, per lasciare la voglia di approfondire ancora. Che è poi la ricchezza inesauribile delle nostre vite: il bisogno di capire, di saperne di più, di farsi sempre domande. Abbattendo, quando possibile, i confini.