Con “La bicicletta verde” Haifaa Al Mansour è diventata la prima regista donna saudita e ha ricevuto nel 2013 la nomination all’Oscar come miglior pellicola straniera.
Ora il film diventa anche un romanzo per ragazzi, edito in Italia da Mondadori.
Aveva 6 anni quando il padre le comprò una bicicletta verde: “Era una mia idea, ma lui non mi scoraggiò. La maggior parte dei papà del Regno avrebbe rifiutato”, racconta oggi, quarantunenne, nell’intervista a “laLettura” del Corriere della Sera di cui riportiamo un estratto.
“La bicicletta verde” è la storia di Wadjda, undicenne saudita che desidera andare in bici come l’amico Abdullah, ma a lei è proibito…
Questo libro per me è un ponte tra le generazioni: inizia nel mondo dei miei genitori e indica il futuro che sarà plasmato dai miei figli. Parte della storia è autobiografica, ma è ispirata anche da tutte le ragazze con cui sono cresciuta e che non hanno mai avuto la possibilità di realizzare il proprio potenziale. Avrebbero potuto cambiare il mondo.
Qual è il messaggio per i ragazzi occidentali e sauditi?
Tutti gli adolescenti come Wadjda possono identificarsi nella sua lotta per trovare un posto e uno scopo nel mondo. Ti dicono che non puoi fare qualcosa per via di chi sei, ti dicono che devi comportarti come gli altri: sono questioni universali. Ma ci sono cose che i sauditi vivono in modo unico. Spero che questo libro mostri alle ragazze saudite che non sono sole, che ci sono altre che si sentono “diverse” e sfidano il sistema. Spero che dia loro coraggio per cambiare la società.
La scuola è la grande protagonista del romanzo.
L’idea stessa della scuola in Arabia Saudita è quella di un luogo di indottrinamento. Apparire “diversa” può avere effetti brutali. Le insegnanti sono severe ma non perché credano nel sistema. In realtà sono indifferenti all’ideologia, si comportano così perché vogliono che le ragazze capiscano cosa è necessario per sopravvivere nella società.
Wadjda decide di partecipare alla gara di Corano ma solo per vincere il premio in denaro e comprarsi la bici.
Volevo mostrare come, in sistemi come il nostro, la religione sia qualcosa che le persone devono usare per ottenere i propri obiettivi, ci credano o no. C’è molta ipocrisia.
Andare in bici è stato permesso da poco alle donne, lo fanno?
Possono in zone designate, non in strada. (…) Le restrizioni sono basate assai più sul controllo delle famiglie, che impediscono alle donne ogni attività che potrebbe “causare problemi”.
Come mai sta girando il suo prossimo film in Irlanda?
È sulla vita di Mary Shelley: un’ispirazione. Il limiti del suo mondo sono simili a quelli delle donne saudite. Volevo trattare i miei temi di sempre, ma ampliarne il respiro.
Intervista a cura di Viviana Mazza
Giornalista e autrice di libri per ragazzi
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