La bambina dell’isola di Lluís Prats (Rizzoli) racconta la storia commovente di Alika Touré, della figlia Kambirì e di un mare che può essere crudele.
Ispirato a una storia vera di cui è stato protagonista Pietro Bartolo, il medico che per molti anni, a Lampedusa, ha operato per l’accoglienza dei migranti sbarcati sull’isola, La bambina dell’isola è una storia struggente sul potere della compassione. Sull’importanza di saper tendere una mano a chi ne ha bisogno e di saper accogliere nella propria casa chi una casa non l’ha più.
Riportiamo qui l’introduzione firmata dallo stesso Pietro Bartolo.
Aveva un cappellino di lana blu. Due occhioni giganti, di quelli che rischiano di cambiarti dentro, che sbucavano guardando oltre quel cappellino blu. Era avvolta da una coperta termica, di quelle dorate che si vedono spesso nei tg, sembrava un dono venuto dal mare. Mi correggo. Era esattamente quello. La donna che mi porse la bambina era messa male (e anche parecchio).
Mi sussurrò all’orecchio, con un filo di voce, che la mamma era morta durante la traversata, che l’aveva affidata a lei, che quella bambina era preziosa. La presi in braccio e non l’avrei più mollata. Fu solo un attimo, prima che l’inferno di voci e pianti e lamenti e paura mi riportasse alla realtà. Passai la bambina a una mia assistente. «Non la devi perdere di vista neanche un secondo» le dissi, prima di correre a soccorrere gli altri. La mattina dopo arrivai davanti al Municipio prima ancora che aprisse al pubblico. Volevo essere sicuro di essere il primo a fare domanda d’adozione, ricambiare il dono ricevuto e offrire a mia volta una famiglia a quegli occhi che cercavano un posto nel mondo. La richiesta di adozione non andò a buon fine a causa dell’età avanzata tanto mia, quanto di mia moglie.
Ma non ho mai smesso di chiedermi, nelle settimane successive, se quella bambina dagli occhi giganti avesse trovato l’amore che meritava. Lo scoprii qualche tempo dopo, a margine di un’iniziativa pubblica. Volevo solo tornare in aeroporto, una mia amica mi disse che avevo ancora delle persone da incontrare. Mi scusai, dissi che ero stanco e che era davvero tardi. Ma davanti alla sua insistenza, decisi di salire in macchina con questo ragazzo che nel frattempo era venuto a prendermi. Si scusò, mi disse che aveva bisogno di passare da casa. Io ero un po’ scettico, non lo avevo mai visto prima. Mi chiese di salire, mi sembrò una proposta bislacca. Ricordo poco del momento in cui superai la soglia di casa. C’erano palloncini, musica, un piccolo rinfresco. Io sinceramente non capivo, vedevo tante facce intorno a me, non ne riconoscevo nessuna.
Poi, da un angolino, ecco quegli occhi, pronti a far sciogliere i miei. La nuova famiglia della bambina dal cappello blu voleva che vedessi coi miei occhi che era finita in buone mani, che era circondata d’amore, che non le mancava più nulla. Quante volte l’ho raccontata, questa storia? Quante volte l’ho sognata, questa donna, bellissima, morta con l’unico pensiero che la figlia fosse in salvo? Quante volte ho riguardato il volto di quella bambina che, avessi potuto, avrei tenuto con me? Eppure rileggerla nel racconto di Lluís Prats mi ha toccato profondamente, mi ha commosso di lacrime nuove, ho provato l’emozione di chi ascolta una storia quasi per la prima volta. Sono grato a questo racconto che prende per mano un fatto di cronaca, un episodio che mi ha toccato nel profondo, e lo trascina fuori dal tempo e dallo spazio, su un’isola che sembra la mia e in fondo non lo è, che incrocia la vita di un uomo e la sua bici. Un uomo che sembro io. Ma che sono solo in parte. Sono grato a una storia che potrà essere letta nelle scuole, raccontata ai ragazzi, condivisa oltre i confini di Lampedusa.
«L’uomo dalle spalle larghe e dalle mani di ferro non voleva vermi nella pancia della figlia che non aveva ancora visto». Prats con le sue parole semplici ed efficaci spiega meglio di mille trattati il diritto inalienabile di un padre a pretendere un futuro migliore per la figlia non ancora nata. Non un futuro fatto di lustrini e paillettes, nulla a che vedere con quella narrazione disonesta che viene fatta a proposito delle persone migranti. Soltanto un padre e una madre. Che, separatamente, attraversano l’inferno affinché l’acqua che un giorno berrà una bambina non ancora nata, non le faccia venire i vermi allo stomaco. Eccolo lì, lo straniero, l’invasore, il nemico. Semplicemente una persona. Col suo insindacabile bisogno di far crescere la figlia in un luogo sicuro. Una storia d’amore. Grande quanto il Mediterraneo.
Pietro Bartolo, settembre 2020