Iniziamo dalla tua esperienza di docente. In che modo l’attualità raggiunge i bambini? Quali notizie li colpiscono di più?
L’attualità arriva ai bambini attraverso gli stessi canali con cui giunge agli adulti, e cioè i media, tv in testa. Anche i bambini restano più colpiti da ciò che i mezzi di comunicazione veicolano con maggiore insistenza e forza di penetrazione, sia nel bene che nel male.
Spesso l’attualità è legata a situazioni dolorose: catastrofi naturali, povertà, guerre o disuguaglianze. Che percezione hanno i bambini di questi temi? Come ne parlano?
Ne hanno una visione sicuramente imprecisa e parziale, soprattutto laddove gli adulti non aiutano i più piccoli a decodificare e sistematizzare informazioni complesse. Afferrano, invece, con interezza il dolore e l’orrore che tracimano dagli schermi televisivi, restandone spesso emotivamente scossi. Per questo motivo sentono il bisogno di parlarne anche a scuola, con i compagni e con gli insegnanti, per poter esorcizzare gli incubi e metabolizzare stupore e paura attraverso la condivisione.
Cosa accade in una classe in cui si raccolgono testimonianze dirette di disagio legate a una delle situazioni citate?
Quasi sempre, grazie alle straordinarie capacità di accoglienza e di “mutuo soccorso” dei bambini, avviene un piccolo, grande miracolo: anche le ferite più profonde vengono pian piano sanate dal fatto stesso di sentirsi “parte” di un gruppo e di poter contare sugli altri.
In che modo attraverso la lettura di storie (che siano invenzioni verosimili o racconti di vicende realmente accadute) un bambino può farsi un’idea del mondo di oggi?
In una maniera, paradossalmente, molto più approfondita e razionale di quella che offrono le “notizie” raccontate dai telegiornali o dai programmi televisivi. Una storia infatti, contrariamente ai fotogrammi dell’orrore che appaiono sugli schermi televisivi, propone sempre un percorso che il bambino dovrà compiere insieme ai suoi protagonisti, condividendone pensieri e crucci, speranze e sconfitte. Ecco perché, ad esempio, in riferimento al tema della guerra, un buon libro – penso per esempio a La grande avventura di Robert Westall, o anche al mio Le due facce di Gerusalemme – offre sempre al bambino molte più risposte di quelle che noi adulti siamo in grado di dargli. Oggi, fortunatamente, esistono molti ottimi romanzi per ragazzi che, oltre a essere avvincenti e ben scritti, riescono a veicolare informazioni e tematiche legate alla realtà.
Parliamo ora con lo scrittore per ragazzi. Tra i tuoi libri c’è Una bambina chiamata Africa, che affronta il difficile tema dei bambini soldato. Come ti è venuta l’idea? In che modo pensi sia possibile parlare ai bambini di un argomento così difficile?
A farmi scrivere quasi d’impeto è stata la fotografia, trovata su internet, di una bambina ivoriana i cui occhi dicevano tutto sull’orrore della guerra “dei diamanti” in Sierra Leone. Lavorando a questo libro non ho mai smesso di mediare la violenza, insita nella storia, con tutto ciò che di più positivo noi esseri umani riusciamo a opporre alle nostre peggiori paure. Non ho mai indugiato sulle scene di violenza; i timori, pure incommensurabili, dei piccoli protagonisti vengono sempre superati grazie al sentimento di fratellanza e alla speranza in un futuro migliore; e, infine, tra gli adulti che accompagnano la loro avventura, compaiono figure solide e positive sulle quali poter contare. Volevo una storia che raccontasse la cruda realtà, ma che nello stesso tempo fosse accessibile ai ragazzi: è ciò che credo di essere riuscito ad ottenere.