Anna Vivarelli, una delle più importanti autrici italiane per ragazzi, vincitrice del Premio Il Battello a Vapore 1996 e del Premio Andersen 2010 come Miglior Autore, ci parla del suo Pensa che ti ripensa, un libro che aiuta i ragazzi a capire il loro mondo interiore e la realtà che li circonda.
Come è nata l’idea del progetto? Qual era il suo rapporto con la filosofia da ragazza?
La filosofia ha occupato molti anni della mia vita e, anche se ho smesso di occuparmene in modo continuativo e sistematico, non l’ho mai abbandonata del tutto. Sicuramente ho un bisogno personale di filosofia, che il mio lavoro di scrittrice per ragazzi non ha spento, e che forse, col passare del tempo, si è fatto più vivo.L’idea di unire queste mie due anime è nata quindi in modo quasi naturale.
Probabilmente ha cominciato a concretizzarsi grazie a numerosi episodi, spesso lontani tra loro. Durante gli incontri con le classi, a scuola o in biblioteca, mi sono talvolta trovata di fronte a domande o commenti che partivano da un personaggio o da una storia, ma che non potevano essere soddisfatte se non ampliando molto il discorso. «Come si fa a sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato», per esempio. O «cosa vuol dire che una persona è buona». Queste sono domande filosofiche nel senso più profondo del termine, e avrebbero richiesto una risposta altrettanto filosofica, che non è qualcosa di definitivo, ma rimanda ad altre domande e ad altre ancora. Perché non provare a trasformare tutto questo in un libro?
Ho cominciato a lavorarci un paio di anni fa, un argomento alla volta, senza una scadenza precisa. Ero piuttosto scettica sulle possibilità di pubblicazione: la saggistica per ragazzi non è esattamente un genere diffuso nel nostro Paese. E invece è nata quasi per incanto una squadra formidabile: il direttore editoriale ha mostrato una straordinaria capacità di entrare nel vivo del progetto, la grande Vanna Vinci, che ha ideato e disegnato le vignette di Pensa che ti ripensa, oltre alla bravura possiede specifici interessi filosofici, e se a questo aggiungiamo che l’editor del testo ha una laurea in filosofia, si può capire quanto sia stato bello costruire questo libro…
È giusto, secondo lei, coinvolgere i bambini su argomenti considerati troppo difficili?
Il tempo, il sogno, la bellezza, l’amicizia, la paura: siamo sicuri che questi siano argomenti difficili? O non riguardano piuttosto la vita quotidiana? Come dicevo, mi sono resa conto, negli anni, che i ragazzini hanno voglia, di interrogarsi e di interrogare gli adulti che li circondano, ma nella maggior parte dei casi non ne hanno la possibilità. I motivi sono vari: a scuola, non esiste un momento dedicato alla riflessione. Lo si può creare, ovviamente, e molti insegnanti lo fanno già, a partire da una storia o da un episodio della vita di classe. Ma, certo, non è frequente. E poi c’è una difficoltà intrinseca: la riflessione filosofica non nasce spontanea, va, in un certo senso, aiutata. La faccenda di Socrate e della maieutica, insomma.
Dunque non si tratta di coinvolgerli forzandoli a riflettere, ma al contrario, si tratta di assecondare un loro bisogno. È l’antico gioco dei perché, in cui i bambini sono molto più bravi di noi adulti, che spesso diamo per scontato il senso delle cose.
Come ha scelto le tematiche su cui concentrarsi?
La scelta degli argomenti non è stata facile. Alcuni, come l’amicizia, la paura, il rapporto maestro/allievo, sono presenti nel vissuto quotidiano dei bambini, dunque sono emersi in modo quasi naturale: sono i temi su cui ho iniziato a lavorare. Altri, come la bellezza, il tempo, la morte, sono temi filosofici per eccellenza, e sono al centro delle riflessioni della filosofia fin dalla Grecia classica. Ma proprio per questo sono stati i più difficili da trattare, perché era necessario semplificare il discorso senza tuttavia banalizzarlo. Infine, temi come l’empatia, il sogno, l’ascolto, appartengono principalmente alla filosofia contemporanea, sono connaturati al pensiero della nostra epoca, e mi è sembrato giusto dedicarvi altrettanti capitoli. Ci sono anche argomenti su cui ho iniziato a lavorare e che poi ho deciso di non inserire in Pensa che ti ripensa: dovevo darmi dei limiti, oltre i quali il libro non sarebbe stato facilmente fruibile.
Che rapporto ha questo libro con la sua attività di narratrice di storie?
Questo libro è complementare alla mia attività di narratrice. Poiché la filosofia non è qualcosa di astratto, ma un approccio non superficiale a problemi umani concreti, ogni volta che narro una storia con conflitti familiari, o quando uno dei miei personaggi si trova di fronte a un bivio, io racconto situazioni che presentano un interrogativo filosofico, cioè universale. Ed è per questo che, come dicevo, a volte i ragazzi arrivano al dunque, si staccano dalla storia di Venerdì o di Umberto o di Elisa, e vanno oltre. In pratica, si pongono domande filosofiche. Le storie servono anche a questo.
È possibile parlare in classe o in famiglia di questi temi?
Pensa che ti ripensa non è affatto un libro difficile. È però un libro diverso, e quindi va presentato ai ragazzi in modo diverso. Non si legge come un romanzo. Un insegnante o un genitore possono affrontare alcuni temi e tralasciarne altri, scegliendoli a partire da un vissuto della classe o della famiglia. Possono leggere un capitolo, e poi approfondirlo proponendo storie in cui quel tema è predominante.
Ciò che conta è che, a partire dal libro, si lascino parlare anche i ragazzi; è importante dar loro l’occasione di riflettere, di interrogarsi, di confrontarsi perché, come scrivo nella prefazione, questo piccolo libro è fatto di grandi domande a cui, però, non si può né si vuole dare risposte. Ha scritto Bertrand Russell: “La filosofia va studiata non per ottenere risposte precise alle domande che essa pone, poiché generalmente nessuna risposta precisa si può conoscere per vera, ma piuttosto per amore delle domande stesse; perché queste domande allargano la nostra concezione di ciò che è possibile”.
Pensa che questa sua prova su argomenti filosofici sarà un unicum o è interessata a scrivere altri libri sul tema?
Non so se questo libro avrà un seguito, credo sia presto per dirlo. Sono consapevole di non aver esaurito i temi su cui si può fare filosofia con i giovanissimi, ma la filosofia non ama la parola fine.
Ho fatto delle chiacchierate con alcuni insegnanti che incontrerò in primavera, e con altri con cui ho lavorato in passato: c’è sicuramente molta curiosità. Alcuni mi hanno proposto un confronto aperto con i genitori e con i colleghi, dopo l’orario scolastico, per progettare insieme un percorso rivolto ai giovanissimi a partire dai temi del libro.
È anche possibile che, dopo la lettura di Pensa che ti ripensa, siano gli stessi ragazzi, o gli adulti, a proporre riflessioni autonome su tematiche importanti come, per esempio, la libertà o il concetto di intelligenza, due argomenti che ho escluso dal testo.
Mi piacerebbe che Pensa che ti ripensa non fosse un punto di arrivo, ma al contrario, la tappa di un percorso.
Il pensiero non ha confini, e pensare è uno sport bellissimo.
(Illustrazione di Vanna Vinci per Pensa che ti ripensa)